Le trame
A Bassano, nel castello di Ezzelino e nella sua vicinanze, nel 1228. Il giovane conte Riccardo deve sposare la sorella di Ezzelino da Romano, Cuniza. Tuttavia, ingannando l'amico Oberto, ne seduce la figlia Leonora. Scoperto il tradimento, Oberto convince Leonora a recarsi da Cuniza per rivelarle la verità e smascherare il seduttore. Sconvolta dal racconto di Leonora, Cuniza decide di rinunciare a Riccardo, che sarà così costretto alle nozze riparatrici. Ma Oberto non è soddisfatto di tale soluzione: sfida il giovane a duello e lo uccide. Per Leonora altro non resta che ritirarsi in convento.
Stanislao, re di Polonia, deve occultarsi ai suoi nemici. Dà quindi l'incarico al cavaliere di Belfiore di sostituirsi a lui. Il cavaliere simula il suo nuovo ruolo anche con la sua ex amante, la marchesa del Poggio, che fortunatamente non lo riconosce. Egli è poi costretto ad intervenire in tutta una serie di intrecci amorosi che si svolgono nella corte ed hanno come protagonisti i cortigiani stessi e gli ospiti del castello.
Giunge finalmente la notizia che il re è in salvo e che ha premiato il cavaliere di Belfiore nominandolo maresciallo. Belfiore quindi rivela la sua vera identità e sposa la marchesa del Poggio.
Parte I - Gerusalemme. All`interno del tempio di Gerusalemme, i Leviti e il popolo lamentano la triste sorte degli Ebrei, sconfitti dal re di Babilonia Nabucco, che ora è alle porte della città. Il gran pontefice Zaccaria rincuora la sua gente. In mano ebrea è tenuta come ostaggio, infatti, la figlia di Nabucco, Fenena, la cui custodia Zaccaria affida a Ismaele, nipote del re di Gerusalemme. Questi, tuttavia, promette alla giovane di restituirle la libertà, perché un giorno a Babilonia egli stesso, prigioniero, era stato liberato proprio da Fenena, di lui innamorata. I due stanno organizzando la fuga, quando giunge nel tempio Abigaille, supposta figlia di Nabucco, a comando di una schiera di Babilonesi. Anch`essa è innamorata di Ismaele e minaccia Fenena di riferire al padre che ella ha tentato di fuggire con uno straniero; infine si dichiara disposta a tacere a patto che Ismaele rinunci a Fenena. Ma egli si rifiuta di soggiacere al ricatto. A capo del suo esercito irrompe Nabucco, deciso a saccheggiare la città. Invano Zaccaria, brandendo un pugnale sopra il capo di Fenena, tenta di fermarlo, poiché Ismaele si oppone e consegna Fenena salva nelle mani del padre.
Parte II - L`empio. Nella reggia di Babilonia. Abigaille è venuta a conoscenza di un documento che rivela la sua identità di schiava: dunque erroneamente i Babilonesi la ritengono erede al trono. Nabucco, in guerra, ha nominato Fenena reggente della città e ciò non fa che accrescere l`odio di Abigaille verso di lei. Il gran sacerdote di Belo alleato di Abigaille, riferisce che Fenena sta liberando tutti gli schiavi Ebrei. Abigaille coglie l`occasione e medita di salire sul trono di Nabucco. Zaccaria, intanto, annuncia festante al popolo che Fenena, grazie all`amore di Ismaele, si è convertita alla religione ebraica. Essa viene raggiunta da Abdallo, vecchio ufficiale del re, che svelate le ambizioni di Abigaille, le consiglia di fuggire per non incorrere nella sua ira. Ma non c`è tempo, poiché irrompe Abigaille che ha con sé i Magi, il gran Sacerdote e una folla di Babilonesi. Giunge però, inaspettato, anche Nabucco che si ripone la corona sul capo, maledicendo il dio degli Ebrei. Quindi minaccia di morte Zaccaria. Alla dichiarazione di Fenena che rivela la propria conversione, egli replica imponendole di inginocchiarsi e di adorarlo non più come re, ma come dio. Il dio degli Ebrei lancia un fulmine. Nabucco, atterrito, cade agonizzante, mentre Abigaille si pone sul capo l`agognata corona.
Parte III - La profezia. Orti pensili nella reggia di Babilonia. Abigaille sul trono riceve gli onori di tutte l`autorità del regno. Nabucco tenta invano di riappropiarsi della corona, ma viene fermato dalle guardie. Nel successivo dialogo fra i due, Abigaille ottiene, sfruttando le instabili condizioni mentali di Nabucco, di fargli apporre il sigillo reale convalidante il documento di condanna a morte per gli Ebrei. In un momento di lucidità, Nabucco si rende conto di avere condannato anche la figlia Fenena e inutilmente implora la sua salvezza. Anzi, Abigaille straccia il documento che attesta il suo stato di schiava, dichiarandosi unica figlia ed erede. Ordina infine alle guardie di imprigionere Nabucco. Sulle sponde dell`Eufrate, gli Ebrei invocano la patria lontana e tocca ancora a Zaccaria consolare il suo popolo con una profezia che li esorta ad avere fede.
Parte IV - L`idolo infranto. Dalla propria prigione Nabucco vede tra gli Ebrei condotti a morte anche Fenena. Disperato si rivolge, convertendosi al Dio degli Ebrei. Abdallo e un manipolo di guerrieri rimasti fedeli al re, vedendo Nabucco rinsavire e rinvigorire, decidono di insorgere guidati dal vecchio re. Negli orti pensili risuona una marcia funebre: stanno giungendo gli Ebrei condannati a morte. Zaccaria benedice Fenena martire. Ma all`irrompere di Nabucco, cade l`idolo di Belo e i prigionieri vengono liberati. Nabucco torna sul trono. Abigaille, avvelenatasi, chiede perdono, morente, a Fenena e auspica il matrimonio di lei con Ismaele. Zaccaria predice a Nabucco il dominio su tutti i popoli della terra.
Atto I - La vendetta. Tra il 1095 e il 1097. Pagano, geloso del fratello Arvino, ha cercato di ucciderlo nel giorno delle sue nozze con Viclinda. Perciò è stato esiliato.
Dopo molti anni ritorna a Milano vestendo l'abito del penitente, e ha luogo la riconciliazione. In realtà egli comincia a ordire una trama contro il fratello, servendosi di Pirro. Viene assoldato un gruppo di sicari. Ma Arvino ha un presentimento e si prepara contro l'oscura minaccia che sente avvicinarsi.
La notte dell'attentato al buio, Pagano colpisce qualcuno con la sua spada: è il padre. Disperato, cerca di suicidarsi ma viene arrestato.
Atto II - L'uomo della caverna. Ad Antiochia. Il tiranno Acciano prega Allah perché scateni la sua ira contro i crociati. Suo figlio Oronte è innamorato di una prigioniera cristiana, Giselda, figlia di Arvino e Viclinda, e vuole convertirsi al cristianesimo, come ha già fatto segretamente sua madre Sofia. Intanto Pirro arriva nei pressi della città e raggiunge Pagano, che si è ritirato in una caverna e fa l'eremita per espiare le sue antiche colpe.
Pagano si dichiara disponibile ad accompagnare i crociati nella città infedele. Quando si accorge che si tratta dei Lombardi, anche Pagano si arma.
Nell'harem. Sofia annuncia a Giselda che Acciano e Oronte sono stati uccisi; la giovane impreca contro l'ingiusto dio che permette la guerra e Arvino sopraggiunto, vorrebbe ucciderla per la sua empietà: quella è una guerra santa. Il pio eremita, che non è stato riconosciuto, la salva: "Si tratta, dice, di una povera pazza".
Atto III - La conversione. Oronte non è morto; ferito e travestito da crociato, ritrova Giselda nella valle di Josafath. I due si promettono eterno amore. Devono fuggire, perché Arvino, che ha saputo dell'amore della figlia, li sta cercando per separarli; ha anche sentito che Pagano si aggira nei pressi, e si ripromette di punirlo in modo definitivo. Oronte e Giselda si rifugiano nella grotta dell'eremita. Qui il ferito viene battezzato, e spira tra le braccia della fanciulla amata. Atto IV. "Il Santo Sepolcro". Giselda ha una visione: Oronte predice che troveranno acqua nel deserto. I crociati, in realtà, stanno soffrendo la sete, ma la fonte di Siloe si mette miracolosamente a gettare acqua.
Riprendono i combattimenti e l'eremita è ferito a morte. Portato nella tenda di Arvino, rivela di essere Pagano. Il comandante crociato lo perdona, lo prende in braccio e lo conduce all'entrata della tenda. Da lì può vedere che la bandiera cristiana già sventola su Gerusalemme conquistata.
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JERUSALEM (rifacimento de I Lombardi alla prima Crociata, 1847)
Atto I Il matrimonio fra Hélène, figlia del conte di Tolosa, e Gaston, conte di Béarn, dovrebbe porre fine alla guerra civile fra i due casati. La folla auspica l'alleanza sotto le comuni insegne crociate. Entrano il conte, suo fratello Roger, Hélène e Isaure, dama di compagnia. Giungono anche Gaston e i suoi. I vecchi nemici si stringono la mano e le nozze vengono acconsentite.
Ma Roger, attratto incestuosamente dalla nipote, brucia di gelosia, mentre quasi tutti hanno oscuri presentimenti. Giunge il legato papale Adhémar de Monteil che nomina il conte capo supremo dei crociati francesi in Terrasanta. Giuramento solenne, poi tutti se ne vanno. Dalla cappella vicina s'ode un canto di monache. Roger, tornato indietro, è inquieto. Giunge un soldato sconosciuto. Roger lo ammonisce: dei due inginocchiati a pregare dovrà risparmiare quello che porta la tunica e uccidere l'altro. Il sicario entra nella cappella, mentre alcuni crociati schiamazzano sul canto delle monache. Dalla cappella s'odono delle grida: assassino! Ma a cadere sotto i colpi è stato il conte, che, in segno di pace, aveva ceduto la tunica a Gaston. Il visconte viene condannato all'esilio.
Atto II In una grotta in Palestina, Roger, in preda al rimorso, è divenuto un santo eremita. Egli disseta un pellegrino, poi corre a soccorrere i suoi compagni. Giungono due donne, Hélène e Isaure, in Terrasanta sulle tracce di Gaston. Esse riconoscono nel pellegrino il suo scudiero e vengono a sapere che il padrone si trova a Ramla. Partite le donne, giungono i crociati francesi, con Ademar e un redivivo conte di Tolosa sopravvissuto alle ferite riportate. Quando Roger torna e lo vede vivo e vegeto, ha un sussulto, ma non gli si rivela. Chiede solo di poter combattere con i crociati, per espiare un antico delitto. A Ramla, Gaston è ostaggio dell'emiro.
Un ufficiale trascina Hélène, appena catturata. Ella racconta che i crociati del padre non oseranno attaccare. Rimasti soli, i due giovani si abbracciano. Ma l'armata cristiana è vicina. Gaston ed Hélène, lasciati soli dai difensori, tentano la fuga ma sono ripresi.
Atto III Nell'harem dov'è rinchiusa, Hélène assiste alle danze delle concubine. Entra l'emiro e annuncia che, se i crociati attaccheranno, la sua testa cadrà. S'ode un gran tumulto: i cristiani sono già dentro Ramla. Giunge Gaston, che si è liberato. Entra vittorioso con i suoi il conte di Tolosa, fa arrestare il suo quasi assassino e, incurante delle smanie di Hélène, la trascina via di forza. Nella piazza di Ramla, i crociati, col conte e il legato del papa, condannato a morte Gaston per l'indomani. Il giovane, disperato, vorrebbe morire subito.
Atto IV Nella valle di Josafat, Hélène passa accanto alla tenda di Gaston. Ademar chiede all'eremita di assistere il condannato. Quando questo è tratto fuori, Hélène, con Isaure, attende l'esito dello scontro. Giunge il conte vittorioso in compagnia di un misterioso guerriero, con la celata abbassata, che si è coperto di gloria: è Gaston, che si rivela a tutti, chiedendo giustizia. Giunge anche l'eremita Roger ferito a morte, ma in tempo per rivelare la verità e contemplare con gioia Gerusalemme liberata.)
Atto I - Il bandito. In Spagna e ad Aquisgrana nel 1519. Don Carlo è re di Spagna ed Ernani sta preparando una rivolta contro di lui per spodestarlo. Il giovane ama Elvira e, per incontrarla, va sotto mentite spoglie al castello della famiglia Silva, presso cui vive la giovane. Anche Elvira ama Ernani, ma è promessa al vecchio conte Don Ruy. Ma Elvira è amata anche dal re, che si trova anch'egli nel castello. Ernani, Elvira e Don Carlo si incontrano nella stanza della giovane, quando sopraggiunge il conte Ruy, che si adira dapprima, poi si calma quando il re si fa riconoscere, ma esige una punizione per Ernani. Aiutato da Don Carlo, che lo fa passare per un suo messo, il giovane riesce tuttavia a sfuggire all'ira del conte.
Atto II - L'ospite. La rivolta contro il trono è fallita: Ernani trova rifugio nel castello dei de Silva, proprio nel giorno in cui si dovrebbero celebrare le nozze tra il conte ed Elvira. Sicuro ormai di perdere l'amata, Ernani si costituisce a Don Ruy, il quale per dovere di ospitalità, anziché denunciarlo, lo prende sotto la sua protezione. Ma sopraggiunge il re che, con un sotterfugio, riesce a portare via Elvira. Ernani giura vendetta; ammette, di fronte a Don Ruy, il suo amore per la giovane e gli promette che vendicherà entrambi. Ma il vecchio gli impone un patto: poiché ha salvato la vita a Ernani, Elvira gli appartiene; se la vorrà, gli sarà sufficiente far squillare tre volte un corno, che il giovane gli lascia in pegno.
Atto III - La clemenza. La congiura continua. Ernani incontra i suoi compagni nel sotterraneo del monumento sepolcrale di Carlo Magno ad Aquisgrana. Don Carlo, intanto, è eletto imperatore.
Potrebbe uccidere i ribelli, ma vuole essere magnanimo e, per intercessione di Elvira, concede loro, in cambio della lealtà, la vita. Come ulteriore prova della sua benevolenza offre a Ernani la mano della ragazza, perché ha capito che non amerà mai altri che lui.
Atto IV - La maschera. I convitati festeggiano la coppia, durante un sontuoso pranzo di nozze. Tra gli invitati si aggira, mascherato in un domino nero, Ruy de Silva. Quando la festa è al culmine, egli si reca in giardino e fa echeggiare per tre volte, il suono del corno. Ernani sa qual è il suo dovere: l'onore castigliano ha un codice preciso, e il giovane si avvelena. Sul suo corpo senza vita cade, uccisa dal dolore, la donna che ama.
Atto I È il 1457. Nella Sala nel Palazzo Ducale di Venezia il Consiglio dei Dieci e i membri della Giunta stanno per riunirsi per una decisione importante. Giungono Loredano, membro del Consiglio, e il suo amico Barbarigo. I due apprendono che il Doge, apparentemente calmo e sereno, li ha preceduti nella Camera del Consiglio: prima di entrarvi, tutti i presenti cantano le lodi della giustizia veneziana. Condotto fuori dal carcere, Jacopo Foscari, figlio del Doge, attende di essere convocato dal Consiglio: egli saluta la sua amata Venezia, che non vede da tempo a causa dell'esilio che lo ha bandito dalla città. Un ufficiale lo esorta ad aver fiducia in un atto di clemenza, ma Jacopo inveisce contro l'atroce odio di cui è vittima.
Lucrezia Contarini, moglie di Jacopo, promuove la causa del marito davanti al Doge, nonché padre di lui; ma, risponde il Doge, essa può sperare e chiedere giustizia solo al cielo. All'annuncio di Pisana, amica di Lucrezia, che Jacopo è stato condannato ad un nuovo esilio, Lucrezia dà sfogo al suo furore
I senatori commentano, uscendo dall'aula, la sentenza appena pronunciata: Jacopo non ha confessato, ma la lettera che ha inviato al duca Sforza di Milano è la prova della sua colpevolezza; è quindi giusto che torni nuovamente in esilio a Creta: a tutti deve essere chiara l'imparzialità della giustizia veneziana, che condanna anche un figlio del Doge.
Solo, il Doge riflette amaramente sul suo destino sia di principe, il cui potere è ormai dimezzato da quello dei Dieci, sia di padre, che vede languire il figlio senza poterlo salvare. Entra Lucrezia e supplica il suocero di far annullare la sentenza che colpisce Jacopo; ma il Doge risponde che le leggi di Venezia glielo impedisce. Vedendo il vecchio in lacrime per il destino del figlio, Lucrezia comincia a sperare.
Atto II Languendo in un'oscura cella, Jacopo vede in un momento di delirio il fantasma del Carmagnola, il famoso condottiero giustiziato a Venezia, che avanza minacciosamente verso di lui con il capo reciso. Spaventato, sviene. Riavutosi, si ritrova tra le braccia di Lucrezia, da lui giunta per comunicargli la sentenza dei Dieci: non si tratta di una condanna a morte, bensì dell'esilio, che li costringerà a vivere per sempre separati. Ma da lontano odono il suono di una barcarola che infonde loro una nuova speranza. Sopraggiunge il Doge e i tre si abbracciano con commozione: è l'affetto paterno e non il rigore dell'autorità che Jacopo ora riconosce in lui e ciò gli sarà di conforto nell'esilio. Scortato dalle guardie, entra nella cella Loredano e comunica freddamente a Jacopo che il Consiglio si è già riunito: per lui è giunta l'ora di partire definitivamente alla volta di Creta. I tre si abbracciano ancora, ma Loredano li divide senza pietà suscitando l'ira di Jacopo e Lucrezia: il Doge li esorta alla calma. Jacopo viene quindi condotto via dalle guardie.
I consiglieri e la Giunta si sono riuniti per confermare la sentenza. Entra il Doge per presiedere il Consiglio. Viene quindi introdotto Jacopo, che chiede al padre giustizia per un innocente, ma questi non può far altro che consigliargli la rassegnazione. Con Pisana e altre dame sue amiche sopraggiunge anche Lucrezia, tenendo per mano i suoi due bambini. Jacopo corre ad abbracciarli e li fa inginocchiare ai piedi del Doge, invocando la sua pietà. Barbarigo si commuove a questa scena e cerca di ammorbidire l'implacabile Loredano. Ma questi e i senatori si mostrano irremovibili: che Jacopo torni a Creta e parta da solo, senza la famiglia. A questa prospettiva Jacopo sente che la morte è ormai vicina.
Atto III La Piazzetta di San Marco si riempie di popolo e di maschere: sta per svolgersi una regata. Giungono Loredano e Barbarigo che osservano la gioia del popolo, totalmente incurante della sorte dei Foscari e del Doge. Loredano dà quindi l'ordine che si inizi la gara. Ma a un improvviso squillo di trombe il popolo, impaurito, si ritira: sta giungendo dal mare una galera destinata a ricondurre a Creta Jacopo. Prima di imbarcarsi saluta mestamente Lucrezia e i suoi bambini ed esorta la moglie a non piangere per non far gioire i suoi nemici. Ma Loredano si interpone nuovamente fra loro e gli impone di affrettarsi. Al salire di Jacopo sulla galera Lucrezia sviene.
Nelle sue Stanze private il Doge si lamenta del suo tragico destino: tre suoi figli sono morti prematuramente e il quarto gli è stato sottratto da un infame esilio. Ma entra improvvisamente Barbarigo recando una lettera scritta da un certo Erizzo, in cui questi confessa di aver commesso il delitto imputato a Jacopo. Il Doge ringrazia il cielo. La gioia però dura poco: sopraggiunge Lucrezia in lacrime ad annunciargli la morte di Jacopo, deceduto nel momento stesso della sua partenza; essa esce di scena, invocando sui suoi persecutori l'ira del cielo. Vengono quindi introdotti davanti al Doge i membri del Consiglio condotti da Loredano: data l'età e il recente lutto, sono venuti a chiedere al vecchio Foscari di rinunciare alla sua carica. Per il Doge è il colpo finale: per due volte in passato aveva domandato di abdicare e per due volte gli era stato negato; avendo giurato di morire nell'esercizio delle sue funzioni, egli ora resterà fedele al suo giuramento. Ma il Consiglio è inflessibile: il vecchio Foscari consegna quindi l'anello e il corno ducale. Giunge Lucrezia, da lui chiamata, e mentre conduce il vecchio fuori del palazzo, si ode il suono delle campane di San Marco: Loredano si avvicina a Foscari e gli annuncia che Malipiero è il nuovo Doge. Alla notizia il vecchio muore.
Prologo E’ il 1429. Cittadini e ufficiali di Carlo VII re di Francia temono la disfatta totale nel conflitto con l'Inghilterra: Orléans ancora resiste ma è ormai allo stremo. Sopraggiunge Carlo: afflitto dal pensiero delle sofferenze del suo popolo comunica la sua intenzione di arrendersi al nemico: ha sognato un luogo in mezzo alla foresta in cui si trovava una immagine dipinta della Vergine che gli ordinava dì deporre ai suoi piedi l'elmo e la spada. Gli abitanti del luogo confermano l'esistenza dell'immagine. del sogno in un luogo in mezzo alla foresta frequentato di notte da demoni e streghe. Carlo non vuole credere che dove si trova un'immagine sacra possano incontrarsi anime dannate: vi si recherà al più presto per invocare aiuto dalla Vergine.
Nella selva davanti alla cappella della Vergine Giacomo, padre di Giovanna, è turbato: sua figlia passa in quel luogo molte notti ed egli teme che abbia ceduto l'anima al demonio. Decide di nascondersi in una caverna nei pressi per scoprire la verità.
Arriva Giovanna, afflitta per la sorte in cui versa la Francia: essa non chiede altro che poter affrontare il nemico sui campi di battaglia e prega la Vergine di concederle le armi per difendere la propria patria. Dopo la preghiera, la fanciulla si addormenta. Sopraggiunge Carlo che rimane sorpreso nel riconoscere il luogo del sogno.
E’ Giovanna che intanto sogna: dapprima un coro di spiriti malvagi la invita a godersi la sua bellezza e gioventù; poi un coro dì anime beate le annuncia che il cielo ha accolto la sua preghiera e le concede le armi per salvare la Francia: ma guai se non manterrà il cuore puro da ogni affetto terreno. Giovanna si desta e riconoscendo il re Carlo lo esorta a non arrendersi al nemico: lo invita quindi a seguirla sui campi di battaglia dove lo porterà alla vittoria.
Giacomo, vedendo i due parlare insieme, si convince che Giovanna, per amore del re, abbia ceduto la sua anima al demonio. Fa per fermarli ma si accascia per il grave dolore.
Atto I Dopo la tremenda sconfitta inferta dalle truppe francesi guidate di Giovanna, i soldati inglesi esortano il loro comandante Talbot a ordinare la ritirata. Giunge il campo Giacomo quasi impazzito dal dolore: viene a denunciare sua figlia e chiede di combattei e contro Carlo che l'ha sedotta: promette che prima di sera consegnerà Giovanni agli inglesi purché puniscano la sua empietà. Ormai conclusa la sua missione, Giovanna sente la nostalgia dei luoghi dove ha vissuto; decide quindi di partire Ma sopraggiunge Carlo che la trattiene confessandole il suo amore. Giovanna è commossa e dopo una prima resistenza ammette anch'essa il suo amore per lui. Ma voci dal cielo le ricordano il suo destino: deve rinunciare a ogni affetto terreno. Carlo che non ha udito le voci è sorpreso nel vederla turbata e tremante. In quel momento giungono gli ufficiali del re per invitarli a raccogliere gli onori della folla: Carlo sarà incoronato ed egli desidera che sia Giovanna a porre la corona sul suo capo e a condividere la gloria. La fanciulla, non più padrona di se stessa segue Carlo passivamente, in preda al rimorso per la sua colpa. Un coro dì spiriti malvagi che inneggia a Satana e alla sua vittoria sulla purezza, assale l'anima di Giovanna.
Atto Il Il popolo in festa si prepara all’incoronazione cantando le prodezze della vergine guerriera. Il corteo, che accompagna Carlo e Giovanna, entra nella cattedrale di San Dionigi per il sacro rito. Fuori attende Giacomo che, dimentico dell’amore paterno e puro strumento della volontà divina, è pronto ad accusare Giovanna. Uscito il corteo dalla cattedrale, Giacomo vede nel volto turbato della figlia la conferma ai suoi sospetti: si scaglia quindi furibondo contro di lei e l'accusa di empietà davanti al re e al popolo. Giovanna, nonostante Carlo la supplichi di discolparsi, non apre bocca e rinuncia ad ogni difesa. Tuoni e fulmini improvvisi sembrano confermare le accuse di Giacomo: la folla, terrorizzata, già vede in Giovanna una strega. La fanciulla, in lacrime, si getta tra le braccia del padre, che le offre le fiamme del rogo per salvare la sua anima. Carlo dispera di poterla aiutare mentre il popolo, dimentico delle gesta di Giovanna, rinnega l'empia che avrebbe contaminato la gloria della Francia.
Atto III Giovanna, in catene, attende di andare al rogo. Sente i rumori della battaglia che infuria e, ispirata dal cielo, vede quello che accade. Intanto Giacomo entra e si ferma, non visto, a osservare la figlia. Essa vede Carlo circondato dagli Inglesi che stanno per sconfiggerlo: prega Dio di non abbandonarla e gi affida il suo cuore: amò è vero, ma per un solo istante, rimanendo pura. Giacomo che ha udito la sua preghiera, comprende di aver accusato ingiustamente la figlia e accorre a liberarla. Giovanna chiede al padre di benedirla, afferra la spada e corre al campo di battaglia. Giacomo dalla torre la vede in sella ad un bianco destriero salvare il re e guidare l'esercito francese alla riscossa.
Alla torre arriva Carlo, mandato di Giovanna a difendere suo padre; ben presto giunge la notizia che gli Inglesi sono in rotta ma Giovanna è morta.
Carlo e Giacomo sono in preda al più grande dolore, quando arriva il corteo funebre che accompagna la salma della vergine. All’improvviso Giovanna apre gli occhi e, come mossa da una forza soprannaturale, si solleva: prende dalle mani di Carlo le insegne dei francesi e dà l'addio alla terra e alla gloria mortale. Non appena l'eroina muore, una luce astrale si diffonde in cielo tra l'esultanza delle anime beate e il tormento degli spiriti malvagi.
Zamora comanda un gruppo di guerriglieri peruviani, che combattono contro l'oppressione spagnola. La sua fidanzata è Alzira. Dopo uno scontro, giunge la notizia che Zamora è morto.
Alzira viene costretta a farsi cristiana e a sposare il governatore spagnolo, l'odiato Gusmano. Ma Zamora è scampato e presto ritorna. Combatte contro il tiranno e riesce a ferirlo gravemente. In punto di morte, Gusmano si pente per le sue malefatte e vuole riscattarsi: nomina pertanto governatore Zamora, il quale, a sua volta, si converte al cristianesimo. Saggio e al di sopra delle passioni, il padre di Gusmano, Alvaro, vede così coronarsi lo spezzato sogno d'amore tra l'ex capo guerrigliero e la bella e sentimentale Alzira, a cui si è affezionato.
Atto I L'azione si svolge alla metà del V secolo ad Aquileja. La città è stata semidistrutta dalla invasione degli Unni al comando del feroce Attila; la notte è rischiarata dalle torce e dagli ultimi bagliori degli incendi. Un gran numero di Unni, Eruli ed Ostrogoti rende omaggio al condottiero. Uldino, un giovane bretone schiavo di Attila, presenta al vincitore un gruppo di vergini di Aquileja scampate al massacro dopo aver valorosamente combattuto al fianco dei loro padri e fratelli: fra esse è Odabella, che ha visto perire il proprio padre e crede perduto anche Foresto, l'uomo che amava. Attila, colpito dalla bellezza e dalle fiere parole della fanciulla, se ne innamora e le fa dono della sua spada, ordinando che assieme alle altre vergini, Odabella sia condotta al campo e faccia parte della sua corte. Odabella cinge la spada di Attila, fingendo di sottomettersi all'invasore, ma meditando la vendetta. Allontanate le donne, viene introdotto Ezio, valoroso generale romano, che in odio al giovane imperatore Valentiniano, viene ad offrire ad Attila il suo aiuto per le future conquiste, pur di avere in cambio l'Italia. Ma Attila rifiuta sdegnosamente ogni compromesso: egli vuole conquistare Roma e le città italiche con la forza. Colpito, Ezio ribatte che se Attila non lo vuole alleato, lo avrà, come nel passato, valoroso nemico sul campo di battaglia.
A Rio Alto, nelle lagune adriatiche. Gli Eremiti che vivono nelle capanne costruite su palafitte accolgono gioiosamente donne e uomini di Aquileja, che sarà presto ricostruita più forte e più bella sulle sue rovine. La nuova città sarà, anzi, edificata sulle palafitte su cui sorgono ora le misere capanne degli Eremiti.
Atto II Un bosco presso il campo di Attila. È notte: Odabella piange il padre e l'amato Foresto, quando sopraggiunge quest'ultimo, che è riuscito a raggiungerla sfidando mille pericoli. Il giovane credendo che Odabella lo abbia tradito, investe aspramente la fanciulla, ricordandole la patria distrutta, il padre ucciso, il loro antico amore. Ma Odabella si difende disperatamente dalle accuse di foresto: ella sarà come Giuditta che salvò Israele uccidendo Oloferne. Per questo ha accettato di seguire Attila ed ha cinto la sua spada: con questa spada alla vendicherà la patria, uccidendo l'invasore. Pentito, Foresto abbraccia Odabella, rinnovandole il suo amore.
La tenda di Attila. Il condottiero dorme, vegliato dallo schiavo Uldino. Ma improvvisamente Attila si sveglia, terrorizzato da un incubo: gli è apparso in sogno un vegliardo, che, venendogli incontro, gli vietava l'ingresso a Roma terra di Numi e non di comuni mortali. Ma Attila si riprende presto e, convocati i suoi duci, ordina che squillino le trombe per muovere contro Roma. Le trombe hanno appena cominciato a squillare, che si ode un coro mistico che si fa sempre più vicino. Dalla collina avanza un lungo corteo di vergini di fanciulli romani. Alla loro testa è Papa Leone: il vegliardo che Attila ha sognato e gli ripete le fatali parole del sogno. Tutti restano sorpresi e smarriti, e più degli altri Attila che, sopraffatto da invincibile terrore, si prostra dinanzi a Leone, rinunciando alla conquista di Roma.
Atto III Il campo di Ezio in prossimità di Roma. Il generale romano legge con ira una lettera dell'imperatore Valentiniano, che gli annuncia la tregua con gli Unni e gli ordina di ritornare a Roma. Egli sogna di riportare la città agli antichi splendori, sottraendola al comando di un imbelle giovinetto. Giunge un ambasceria Unna ad invitare Ezio al campo di Attila. Fra essi, travestito è Foresto che, rimasto solo con Ezio, gli rivela che Attila sarà ucciso in quello stesso giorno: le schiere romane siano pronte ad un suo cenno. Quando vedranno un fuoco divampare dalla collina, si gettino sugli Unni che, privi del loro campo, saranno in breve sconfitti.
Il campo di Attila. Nella notte rischiarata dalle torce si prepara un solenne convito. Attila, con il suo seguito, riceve Ezio, e lo invita a suggellare la tregua. Mentre le sacerdotesse intonano il loro canto, un vento improvviso, spegne gran parte dei fuochi: Foresto avverte nascostamente Odabella che nella tazza che fra poco Attila porterà alle labbra Uldino ha versato un potente veleno. Ma proprio mentre Attila sta per bere, Odabella che vuole il nemico ucciso di mano sua e non per il tradimento di uno dei suoi fidi, avverte il condottiero che nel calice vi è del veleno. Foresto si proclama colpevole ed ha salva la vita solo perché Odabella lo chiede ad Attila in cambio della sua rivelazione. Mentre Attila annuncia per l'indomani le sue nozze con Odabella, ora ben degna di essere sua sposa, e il suo proponimento di riprendere la lotta contro Roma, Foresto maledice Odabella per quello che egli crede un atroce tradimento. E invano la fanciulla lo supplica di fuggire, assicurandolo che fra poco ella potrà avere intero il suo perdono.
Nel bosco che divide il campo di Attila da quello di Ezio. Foresto attende che Uldino gli rechi notizie delle nozze di Attila con Odabella. Uldino annuncia che il corteo sta accompagnando la sposa alla tenda del condottiero. Le schiere romane stanno in armi al di là del bosco, e Foresto invia Uldino a dar loro il segnale dell'attacco. Mentre il giovane impreca per il tradimento di Odabella, invano esortato alla calma da Ezio, giunge correndo Odabella, fuggita dal campo barbaro; la segue, fuori di sé, Attila, che viene investito da tre nemici: Odabella gli ricorda la morte del padre, Foresto, la patria ed il suo amore distrutti, Ezio, tutti i suoi delitti e la distruzione che ha portato nel mondo. Mentre si ode il clamore dell'assalto romano al campo di Attila, Foresto si slancia a trafiggere il barbaro, ma è prevenuto da Odabella che con la spada donatele dal condottiero compie finalmente la sua vendetta.
Atto I In Scozia. Macbeth e Banco sono di ritorno da una vittoriosa battaglia contro i rivoltosi. Incontrano le streghe, che fanno loro una profezia: Macbeth sarà signore di Cawdor e i figli di Banco regneranno.
La prima profezia si avvera subito: giunge un messaggero, che porta la nomina reale. Al castello, si attende la venuta del sovrano. Lady Macbeth incita il marito a farlo uccidere.
Atto II Il re assassinato. Del delitto viene incolpato suo figlio Malcom, che è costretto a fuggire in Inghilterra. Ora che Macbeth è re di Scozia, la moglie vuole liquidare Banco e il figlio di costui Flaenzio. Il primo è infatti assassinato mentre il secondo riesce a fuggire. Durante un banchetto, l'ombra di Banco viene a terrorizzare Mcbeth.
Atto III Inquieto Macbeth, torna dalle streghe per interrogarle. Il verdetto è oscuro: egli resterà signore di Scozia e assolutamente invincibile fino a quando la foresta di Birnam non gli muoverà contro. Lady Macbeth intanto lo incita a uccidere la moglie e i figli di Macduff che, con Malcom, sta preparando, in Inghilterra un esercito con cui muovere contro la Scozia.
Atto IV L'esercito invasore giunge segretamente al comando di Malcom e Macduff. Giunti nei pressi della foresta di Birnam, i soldati colgono molti rami dagli alberi e con questi si mimetizzano. Poi la truppa marcia contro lo scontro decisivo. Lady Macbeth, nel sonno, è colta da incubi. Macbeth fronteggia l'invasore ma, in duello è ucciso. Si realizza così l'altra profezia delle streghe.
In Germania all'inizio del secolo XVIII. Carlo, figlio del reggente di Moor, riceve una lettera che crede del padre (e che invece è stata scritta dal suo perfido fratello, Francesco) in cui gli si annuncia di essere stato ripudiato e diseredato per avere abbandonato la casa. Per farsi giustizia, Carlo si pone a capo di una banda di Masnadieri. Francesco annuncia mentendo al padre a alla fidanzata del fratello, Amalia, che vorrebbe conquistare, la morte di Carlo.
Quest'ultimo scopre l'inganno, ma non ha la forza di punire Francesco. Poi ritrova il padre, che era stato gettato in prigione; e a questo punto decide di punire il colpevole, nessun perdono è più ammesso. Francesco, braccato, si impicca. Muoiono tragicamente anche il reggente e Amalia. Carlo, sfiduciato è distrutto, si consegna alle guardie.
Il corsaro greco Corrado riesce a infiltrarsi nel campo dei turchi, comandati dal pascià Seid. E' travestito e non viene riconosciuto. Però i suoi corsari attaccano il campo prima che egli abbia dato il segnale convenuto, così che il giovane Corrado viene scoperto, ferito e arrestato. E' Gulnara, concubina di Seid, che lo salva. Quando il corsaro fuggiasco, raggiunge finalmente l'isola rifugio, trova Medora, la sua fidanzata, che sta morendo di dolore; infatti era arrivata la falsa notizia della sua morte. Corrado, sconvolto, si getta in mare e scompare tra i flutti.
L`azione si svolge a Milano e a Como, nel 1176. Milano è minacciata dalle truppe di Federico Barbarossa. Tra i difensori della città si trova anche Rolando che riabbraccia il veronese Arrigo, creduto morto in battaglia. Arrigo rivede anche Lidia, in passato sua fidanzata, ma che ora per volere del padre ha sposato Rolando. Arrigo, arrendendosi al destino, entra a far parte dei cavalieri della morte, con grande dolore di Lidia, che gli invia una lettera per dissuaderlo. Rolando, che si accinge a partire per combattere, è avvicinato da Marcovaldo, un prigioniero tedesco, invaghito di Lidia. Costui consegna a Rolando una lettera di Lidia. Lo sdegno di Rolando sfocia in vendetta: scoprendo Lidia e Arrigo a colloquio, l`uomo rinchiude Arrigo nella torre, così non sarà presente all`appello dei Cavalieri della Morte e verrà disonorato. Arrigo, disperato, si lancia dalla finestra tuffandosi nel fiume. Mentre Lidia e le donne milanesi pregano per i combattenti, giunge la sconfitta del Barbarossa. Ritornano i lombardi vittoriosi, tra loro vi è anche Arrigo in fin di vita. Il giovane scagiona Lidia, poi, si spegne stringendo al cuore lo stendardo del Carroccio.
Atto I Nel Tirolo, prima metà del secolo XVII. Luisa Miller ama Rodolfo ed è da lui riamata. Il giovane è figlio del conte di Walter, che ha combinato per lui un altro matrimonio. Rodolfo non intende però abbandonare Luisa e giunge a ricattare il padre: se non potrà coronare il suo sogno d'amore, lo denuncerà di avere assassinato un cugino per strappargli il titolo e le terre.
Atto II Miller, padre di Luisa, è stato arrestato per essersi opposto alle ingiustizie del conte. Potrebbe essere ucciso, se il castellano Wurm, innamorato di Luisa, non barattasse la sua vita con una lettera, in cui la ragazza afferma di non amare affatto Rodolfo, ma di corteggiarlo e accettarne gli amori soltanto per ambizione. Il castellano riesce quindi a far recapitare la lettera al giovane che, sconvolto sta per accettare le nozze volute dal padre.
Atto III Luisa, che ha sacrificato il suo amore per salvare la vita al padre, non intende più vivere. Si accinge a scrivere un testamento, in cui rivelerà come si sono effettivamente svolti i fatti. Miller riesce a impedirle di uccidersi. Anzi, la convince a partire con lui. Mentre si preparano al viaggio, arriva Rodolfo: vuole sapere da Luisa se la lettera che ha intercettato è vera. La giovane, che per salvare il padre ha giurato di non sconfessare in alcun modo il castellano Wurm, annuisce. Non visto, Rodolfo mette del veleno in due bicchieri e beve, con Luisa.
La giovane, finalmente, si decide a dire la verità. Ma è troppo tardi. Il veleno sta cominciando a fare il suo effetto. Rodolfo maledice il padre, uccide il perfido Wurm, ma è destinato a morire insieme alla sua fedele Luisa.
Austria inizio del secolo XIX.
Atto I Nel castello di Stankar, Jorg, pastore uscente della setta degli Assasveriani, si augura che Iddio ispiri il successore Stiffelio. Questi, appena rientrato da un viaggio, fa il suo ingresso con la moglie Lina, il suocero Stankar, Raffaele e i cugini di Lina, Federico e Dorotea. Senza leggerle, Stiffelio brucia nel caminetto alcune lettere comprovanti l`adulterio di una donna della comunità. Occorre dare l`esempio del perdono. Lina e Raffaele respirano di sollievo, ma Stankar è sospettoso. Rimasti soli, Stiffelio nota che Lina non porta l`anello che le aveva donato. La donna è imbarazzata, egli in preda alla gelosia. Rimasta sola, Lina scrive una lettera di addio all`amante Raffaele, ma Stankar, entrando all`improvviso, la coglie sul fatto e le impone il silenzio sulla faccenda. Raffaele fa scivolare una lettera per Lina nel messale di Klopstock. Jorg, non visto, si accorge della manovra ma, subito dopo, giunge Federico che si appropria del libro. Arrivano al castello i settari per onorare Stiffelio e Stankar. Jorg rivela a Stiffelio che Federico ha una lettera nascosta nel messale. Il pastore gli sottrae il libro e ne lacera il sigillo. La lettera scivola a terra, ma prima che Stiffelio possa leggerla, Stankar la fa a pezzettini. Il pastore è sdegnato, Lina in preda ai rimorsi, tutti sono perplessi. A parte, Stankar sfida a duello Raffaele.
Atto II In un cimitero. Lina attende Raffaele per l`ultimo incontro. Vicino alla tomba della madre prova un grande senso di colpa. Giunge l`amante, ed ella reclama invano l`anello del marito. Giunge anche Stankar, che caccia la figlia e ingaggia un duello con Raffaele. Compare Stiffelio e ordina di cessare le ostilità. Appreso, però, che Raffaele è il seduttore di Lina, afferra una spada e sfida il rivale. La donna, di ritorno, non può fare nulla, ma s`ode un coro dal tempio. Si inizia la funzione e tutti attendono Stiffelio. Combattuto fra gli opposti sentimenti, egli sviene ai piedi della croce, sulla scalinata.
Atto III Nel suo castello, Stankar è disperato: Raffaele vuole fuggire, sottraendosi alla vendetta e peggio ancora, Lina di cui egli ha intercettato una lettera, lo seguirà. Giunge Jorg chiedendo di Stiffelio. Combattuto fra gli opposti sentimenti, il pastore ha convocato il rivale al castello. A questa notizia, Stankar, rianimato, esce dalla stanza. Nella camera vicina, Stiffelio affronta Raffaele: stia nascosto in corridoio e ascolti quanto egli dirà a Lina. Giunge la donna e Stiffelio le offre il divorzio. Ella, disperata, accetta, ma dopo avere firmato, chiede di essere confessata da lui in quanto ministro di culto. Stiffelio non vorrebbe. Lina gli dice lo stesso di averlo tradito solo per l`inganno di Raffaele. Egli vorrebbe vendicarsi, ma dal corridoio spunta Stankar con la spada insanguinata: giustizia è fatta...
Stiffelio, stranito, legge la storia dell`adultera. Lina disperata sale in ginocchio i gradini dell`altare. Al momento fatidico il pastore conclude la lettura del passo col perdono di Gesù. Lina, perdonata, si alza incredula levando le mani al cielo.
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AROLDO (rifacimento di Stiffelio, 1857)
Atto I Sala nel castello di Egberto nel Kent. Il vecchio cavaliere Egberto ha organizzato un banchetto in onore di Aroldo, suo genero, che é appena tornato dalla crociata in Palestina: dall'interno si odono canti che inneggiano alla vittoria di Aroldo sui saraceni. In preda a una forte agitazione, esce dalla sala del banchetto Mina, figlia di Egberto e moglie di Aroldo: mentre il marito era in guerra, gli é stata infedele, lasciandosi sedurre da Godvino, uno degli ospiti del padre; ora che Aroldo é tornato si sente oppressa dal rimorso e prega il cielo perché l'aiuti. La raggiunge Aroldo, accompagnato dal pio Briano, divenuto suo amico inseparabile da quando gli salvò la vita in Palestina. Rimasti soli, Aroldo racconta a Mina come, mentre era via, pensasse continuamente a lei. Queste parole aumentano il senso di colpa di Mina, che scoppia in lacrime. Aroldo si stupisce di non vederle al dito l'anello nuziale e le domanda dove sia: la donna non risponde. Chiamato da Briano, Aroldo esce. Mina resta sola e si abbandona su una sedia con il volto tra le mani. Non visto, giunge Egberto, il quale comprende, dal malessere della figlia, che i suoi sospetti su Godvino sono fondati. Mina decide di scrivere una lettera di confessione al marito, ma è interrotta dal padre, che le consiglia di non rivelare niente ad Aroldo se non vuole farlo morire di dolore.
Godvino, vedendo che Mina lo ignora mentre lui la ama ardentemente, ha deciso di scriverle una lettera. Questa viene lasciata in un libro chiuso da un fermaglio, che sta sulla tavola, e di cui egli possiede la chiave. La scena è vista a distanza da Briano, che pensa di riconoscere in Godvino un amico di Aroldo. La sala intanto si va riempiendo di invitati. Tra questi c'è Enrico, il cugino di Mina. Briano, convinto che si stia attentando all'onore di Aroldo, rivela all'amico ciò che ha visto, ma identifica erroneamente l'uomo che ha messo la lettera nel libro con Enrico, che è vestito come Godvino. Aroldo controlla a stento il suo furore. Intanto gli invitati gli si affollano intorno, congratulandosi con lui, ed Egberto chiede al genero di raccontare le gesta di re Riccardo in Palestina. Ma Aroldo preferisce narrare la storia di un uomo che, chiudendo uno scritto in un libro, insidiò l'onore di un amico; una storia simile, prosegue, è raccontata anche in quel libro posto sulla tavola e chiede a Mina la chiave per aprirlo. Gli ospiti sono sconcertati: al rifiuto della donna, Aroldo rompe il fermaglio e cade a terra una lettera. Egberto la raccoglie, ma si rifiuta di consegnarla al genero. Aroldo inveisce contro il vecchio, nonostante Mina lo preghi di rispettarne l'età. Egberto intanto, senza farsi sentire dai presenti, invita Godvino a raggiungerlo più tardi al cimitero per sfidarlo a duello.
Atto II Quella stessa notte Mina, in preda al rimorso, cerca conforto sulla tomba della madre: implorante si rivolge a lei perché l'aiuti a ottenere il perdono da Dio. La sorprende Godvino: nonostante la donna lo inviti a non profanare quel luogo sacro, egli le dichiara il suo amore; Mina lo respinge, chiedendogli di restituire l'anello; all'ostinato rifiuto di Godvino, essa minaccia di dire tutto al marito. Ma irrompe Egberto e impone nuovamente alla figlia di non rivelare ad Aroldo la verità; quindi sfida a duello Godvino: questi dapprima rifiuta di battersi con un vecchio; poi, provocato dai suoi insulti, accetta lo scontro. Attirato dai rumori del combattimento, giunge Aroldo e ordina ai due uomini di deporre le spade. Tentando di farli riconciliare dice a Godvino, più giovane, di gettare per primo la spada, quindi lo disarma e gli stringe la mano. Ma Egberto inorridisce e rivela al genero che ha dato la mano a chi l'ha tradito. Aroldo rimane stupefatto: chiede alla sopraggiunta Mina di discolparsi; ma di fronte all'ostinato silenzio della moglie, afferra la spada di Egberto e sta per assalire Godvino, quando ode dalla chiesa le voci dei fedeli che intonano il Miserere. Giunge quindi Briano e ricorda all'amico che un cristiano ha il dovere di perdonare: trascinandosi ai piedi di una croce, Aroldo cade svenuto.
Atto III Egberto apprende che Godvino è fuggito e ha lasciato alla figlia una lettera in cui la prega di raggiungerlo. Oppresso dalla vergogna per non essere riuscito a vendicarsi, Egberto sta per togliersi la vita, quando giunge Briano a comunicargli che Godvino, catturato, sta per ritornare al castello. Egberto, già pregustando la vendetta, si abbandona a una gioia sfrenata. Entra Aroldo con Godvino: il crociato gli domanda cosa farebbe se Mina fosse libera dal suo vincolo coniugale, ma l'altro non crede possibile una tale evenienza. Aroldo lo fa allora passare in una stanza vicina perché possa ascoltare la conversazione tra lui e sua moglie. Mandata a chiamare, Mina entra: Aroldo dice alla donna che è ormai venuto meno il fondamento della loro unione, cioè l'amore; le porge quindi una richiesta di divorzio da firmare. Essa, in lacrime, dapprima si oppone; poi, irritata dai rimproveri del marito, accetta. Ma ora che non è più suo marito, gli chiede di ascoltare la sua confessione in qualità di giudice: essa è stata indotta all'adulterio con l'inganno, ma in cuor suo gli è rimasta sempre fedele. Aroldo, colpito, è incerto se punire Godvino con la morte. Ma, in quel momento, giunge Egberto con la spada insanguinata: ha ucciso lui il traditore. Briano e Aroldo vanno a pregare in chiesa, mentre Mina invoca nuovamente il perdono divino.
Atto IV Valle in Scozia. È sera. Pastori, donne e cacciatori scendono dai monti cantando; anche Aroldo e Briano fanno ritorno alla loro modesta dimora, dove ora vivono lontano dal mondo: la serenità del luogo acuisce per contrasto il tormento di Aroldo, ancora innamorato della moglie. Non appena la campana della chiesa del villaggio suona l'Ave Maria i due uomini si inginocchiano a pregare; entrano quindi in casa. Il levarsi di un forte vento, che agita le acque del vicino Lago Loomond, annuncia burrasca. Scoppia infatti l'uragano, proprio nel momento in cui sta portandosi a riva una barca. Gli abitanti del villaggio si affrettano a gettare una fune per trarla in salvo e, dopo vari sforzi, la barca riesce ad approdare. Da essa scendono Mina ed Egberto. Cercando rifugio, bussano alla porta della casa di Aroldo. Egli apre e, vedendo sua moglie, tenta di respingerla; ma Mina lo supplica di perdonarla. Anche Egberto implora pietà. Ancora una volta Briano ricorda all'amico i suoi doveri cristiani, invitandolo al perdono. Come ispirato dal cielo, Aroldo perdona Mina. I due si abbracciano: la divina legge dell'amore ha trionfato.)
L`azione si finge nella città di Mantova e dintorni nel XVI secolo.
Atto I Nel corso di una festa nel palazzo Ducale, il Duca di Mantova, confida al cortigiano Borsa il proprio interessamento per una fanciulla incontrata casualmente al tempio; nel frattempo corteggia la contessa di Ceprano ed esprime la propria morale libertina cantando una ballata, mentre il buffone di corte Rigoletto schernisce il conte di Ceprano. Alla fine delle danze il cavaliere Marullo rivela ad altri cortigiani che il buffone Rigoletto si reca tutte le notti a casa di una presunta amante. Immediata è la decisione di tutti di giocare una burla al perfido Rigoletto e di rapire la ragazza la notte stessa. Giunge il conte di Monterone che accusa perentoriamente il Duca di avere oltraggiato l`onore della figlia. Rigoletto lo schernisce. Mentre viene imprigionato dalle guardie del duca, Monterone lancia al duca ed al beffeggiatore Rigoletto una terribile maledizione. La scena si sposta in un vicolo buio tra la casa di Rigoletto ed il palazzo di Ceprano. E`notte. Rincasando, Rigoletto, viene raggiunto da Sparafucile che si presenta come un sicario d`onore. Rigoletto lo allontana ma prende nota del suo nome. Giunto a casa abbraccia la figlia Gilda , mentre la governante della ragazza, Giovanna, fa entrare di nascosto il duca. Uscito Rigoletto, questi si presenta come un povero studente di nome Gualtiero Maldè: è lui il giovane che l`aveva incontrata al tempio. Gilda è felice. I due si scambiano frasi d`amore, ma un rumore di passi costringe il duca a dileguarsi: sono i cortigiani che si apprestano a rapire l`"amante" di Rigoletto. Imbattutisi proprio nel buffone, giungono perfino a chiedergli di collaborare nella loro impresa, facendogli credere (dopo averlo bendato) che si tratti di un rapimento ai danni della contessa di Ceprano. Solo quando Gilda è già stata portata via, Rigoletto si toglie la benda e scopre l`inganno: "Ah, la maledizione" urla sgomento.
Atto II Nel proprio palazzo il duca lamenta la scomparsa della fanciulla. Quando i cortigiani lo mettono al corrente che Gilda è stata da loro rapita e condotta nei suoi appartamenti, egli, felice si reca a farle visita. Nel frattempo è giunto Rigoletto in cerca della figlia e viene sbeffeggiato alle spalle dai cortigiani. Saputo che Gilda è appartata con il duca, supplica disperato i cortigiani di ridargli la figlia, ma è lei stessa a giungere e a confessargli dell`onore perduto. Rigoletto giura vendetta, mentre Monterone viene condotto al patibolo.
Atto III Sulla sponda del Mincio, Rigoletto ha condotto Gilda nelle vicinanze dell`osteria di Sparafucile, ove il duca in un nuovo travestimento è intento a corteggiare Maddalena, la sorella del sicario. La nuova canzone del duca fa intendere quale bassa considerazione egli nutra per le donne. Anche Gilda, che segue la scena da uno spiraglio tra i muri, si rende conto della disonestà del duca, ma nonostante tutto ne resta innamorata. Le effusioni del duca, i sentimenti leggeri di Maddalena, la costernazione di Gilda e la rabbia di Rigoletto si uniscono in un quartetto. Rigoletto incarica Sparafucile di compiere per lui la vendetta. Questo è il suo piano: mandata la figlia a Verona, a mezzanotte potrà ritirare di persona e gettare nel fiume il sacco entro cui Sparafucile avrà messo il cadavere del duca. Sennonché, allontanatosi il padre, Gilda ritorna e sente di nascosto il dialogo in cui Maddalena convince Sparafucile a uccidere al posto del duca la prima persona che sarebbe entrata nella locanda. La stessa Gilda, mentre fuori infuria una tempesta, si offre al sacrificio e, non riconosciuta per l`oscurità, entra nell`osteria ove sa che ad attenderla è il pugnale di Sparafucile. A mezzanotte Rigoletto ritira esultando il sacco e si appresta a gettarlo nel fiume, quando di lontano, ode echeggiare la canzone del duca. Incredulo, taglia il sacco e vi scopre la figlia Gilda morente. Nello straziante finale, Gilda svela i motivi che l`hanno spinta a sostituirsi al duca per salvarlo e spira chiedendo perdono al padre. A Rigoletto non resta che urlare: "Ah, la maledizione".
In Biscalia e in Aragona, al principio del secolo XV.
Parte I - Il duello. Nell`atrio del palazzo dell`Aliaferia gli armigeri attendono il conte di Luna che passa le notti a sorvegliare la dimora di Leonora, principessa di Aragona. Egli ne è innamorato, ma teme che possa giungere Il Trovatore, che egli sa aver colpito il cuore della ragazza. Ferrando, capo degli armigeri racconta ai presenti la vicenda di una zingara che fu bruciata sul rogo per avere stregato il figlio del vecchio conte di Luna; racconta anche come la figlia di lei Azucena, rapì e sacrificò il bambinetto sul rogo per vendetta. E`notte. Nel giardino del palazzo Leonora confida all`amica Ines il proprio amore per il Trovatore finchè le due donne rientrano nei loro appartamenti ove si è nascosto il conte, deciso a parlare con Leonora. Si ode il canto del Trovatore; Leonora avanza per abbraciare l`amato, ma, ingannata dall`oscurità, abbraccia il conte; quando la luna esce dalle nuvole e rischiara la scena, scopre l`errore e si getta ai piedi del Trovatore chiedendo perdono. Pieno d`ira il conte intima al Trovatore di svelare la sua identità; egli è Manrico, un proscritto seguace del ribelle Urgel. Nonostante i tentativi di Leonora di frapporsi, i due si sfidano a duello e Leonora cade svenuta.
Parte II - La gitana. Nell`accampamento degli zingari, Manrico (che pur rimanendo ferito, ha vinto il duello e graziato il conte) dialoga con la madre Azucena. La zingara gli racconta i fatti passati: per vendicare la madre, ella aveva rapito il figlio del conte, ma, accecata dall`ira l`aveva scambiato per il proprio figlio nel momento di gettarlo nel rogo. La donna inoltre risponde in modo più che elusivo ai ragionevoli dubbi di Manrico sulla propria identità ed anzi gli intima che pensa solo a vendicarla. Un messo reca la notizia che Castellor è stata conquistata dall`esercito di Urgel e che Leonora credendo morto Manrico vuole prendere il velo. Manrico si precipita a cavallo presso il convento. In un luogo di ritiro nelle vicinanze di Castellor il conte è in attesa di scorgere Leonora: ha infatti intenzione di rapirla. Si ode il coro delle religiose. Tra esse è Leonora che dichiara ancora una volta le proprie intenzioni a Ines. Quando il conte, con Ferrando e il seguito, si fa avanti per rapirla, irrompe Manrico con i seguaci di Urgel; costoro disarmano il conte e Manrico si allontana con Leonora.
Parte III - Il figlio della zingara. Le truppe del conte sono appostate in un accampamento vicino a Castellor. Tra i soldati circola la certezza, che all`indomani, in battaglia, essi vinceranno. Gli armigeri fanno prigioniera una zingara che Ferrando riconosce: è Azucena, colei che ha compiuto il feroce infanticidio. Azucena cerca invano di negare e condotta presso gli sgherri, invoca il soccorso di Manrico. Il conte capisce allora di avere in mano la madre del suo rivale e la possibilità di vendicare il fratello. In una sala adiacente alla cappella in Castellor, Manrico e Leonora si apprestano a celebrare le nozze. Giunge trafelato Ruiz e racconta ai presenti dell`avventura di Azucena. Manrico dichiara a Leonora che Azucena è sua madre e corre in sua difesa.
Parte IV - Il supplizio. Manrico è rinchiuso nel palazzo dell`Aliaferia. Leonora accompagnata al palazzo da Ruiz, ode l`ultimo addio di Manrico, ma decisa a salvargli la vita, si offre al conte in cambio della libertà dell`amato. Quindi, ottenuto dal conte il permesso di dare personalmente a Manrico l`annuncio della conquistata libertà, si avvia presso la prigione. Mentre il conte gioisce, Leonora succhia il veleno racchiuso in una gemma pur di non cadere nelle mani del conte. Nella prigione Manrico conforta la madre. Raggiunto da Leonora, egli intuisce a quale prezzo ella ha comprato per lui la libertà e accusa la ragazza di tradimento. Ma quando vede in lei gli effetti repentini del veleno, capisce il suo gesto e non gli resta che ricredersi e struggersi nel rimorso. Giunge il conte che comprende di essere stato ingannato da Leonora, che muore. Consegnato Manrico agli armigeri,obbliga Azucena ad assistere all`esecuzione. Ma, al conte sconvolto, ella dichiara: "Egli era tuo fratello. La madre è vendicata".
Atto I Parigi, alla metà dell'Ottocento. C'è una gran festa nella casa di Violetta Valéry, una mondana famosa: è un modo per soffocare l'angoscia che la tormenta, perché ella sa che la sua salute è gravemente minata. Un nobile, Gastone, presenta alla padrona di casa il suo amico Alfredo, che l'ammira sinceramente. L'attenzione che Violetta dimostra per la nuova conoscenza non sfugge a Duphol, il suo amante abituale. Mentre Violetta e Alfredo danzano, il giovane le dichiara tutto il suo amore e Viloetta gli regala un fiore, una camelia: rivedrà Alfredo solo quando sarà appassita. Alla fine della festa, Violetta deve ammettere di essersi innamorata davvero, per la prima volta.
Atto II Alfredo e Violetta Valéry hanno abbandonato, insieme, la metropoli e vivono felici in una villa. Quando l'uomo viene a sapere, attraverso una confessione della cameriera Annina, che Violetta sta vendendo i suoi gioielli perché è rimasta senza denaro, si precipita a Parigi per procurarsene. L'amica di Violetta, Flora, l'invita a una festa; ma la ragazza non ha voglia di andarvi e rimane in casa, dove riceve la visita inattesa del padre di Alfredo, Giorgio Germont. Costui l'accusa di condurre il figlio alla miseria; ma Violetta contesta le sue affermazioni, gli fa vedere che, al contrario è stata lei a vendere i suoi preziosi e afferma di non avere mai chiesto nulla ad Alfredo. Giorgio sembra convinto, ma non rinuncia al suo proposito di separare Alfredo e Violetta. Infatti quel legame dà scandalo e finché dura non potrà far sposare un'altra figlia. La donna deve scegliere, e fa quello che crede essere il bene del suo innamorato.
Abbandona Alfredo, che è colto da gelosia. Violetta riappare a una festa nuovamente accompagnata da Duphol, che vorrebbe sfidare a duello il giovane Germont, Violetta lo implora di lasciare la casa; se ne andrà, dice lui, solo se lei lo seguirà.
La ragazza allora gli rivela di avere giurato di non incontrarlo e lascia credere di aver fatto questo giuramento a Duphol, per non raccontare ad Alfredo il colloquio che ebbe con suo padre, a proposito di sua sorella. Alfredo si indigna, la tratta da prostituta. Arriva Giorgio, che lo rimprovera per questo comportamento; ma non gli svela la verità.
Atto III Il male che da tempo mina la salute di Violetta si è molto aggravato. La donna non può più alzarsi dal suo letto. Le giunge una lettera di Germont: finalmente, ha deciso di spiegare tutto a suo figlio. Alfredo si è commosso e sta arrivando. Violetta è incredibilmente contenta, ma per lei non c'è più nulla da fare; teme, anzi, di non sopravvivere fino al suo arrivo. Ma, infine, Alfredo è lì, al suo capezzale; e vi è anche suo padre, profondamente pentito.
La tisi uccide Violetta davanti a loro, in un clima di acuto dolore, addolcito però dalla delicatezza e dalla purezza dei sentimenti.
Atto I Palermo, 1282. Piazza Grande. La duchessa Elena è in lutto perché suo fratello Federigo d'Austria è stato giustiziato come traditore. Un soldato francese, Roberto, la costringe a cantare. Con il suo canto, Elena infiamma i cuori dei siciliani e ne nasce un vivace scontro con i francesi. Il governatore francese Guido di Monforte interviene e riporta la calma. Poi interroga un giovane siciliano, Arrigo, che si era fermato a parlare con la vedova e gli vieta di incontrarla perché è sospetta di essere rivoluzionaria. Ma Arrigo la raggiunge ugualmente.
Atto II In una valle presso Palermo si incontrano Giovanni da Procida, esule rientrato clandestinamente, Elena e Arrigo. Giovanni annuncia che Pietro d'Aragona intende intervenire in Sicilia, se vi sarà un inizio d'insurrezione. Arrigo dichiara a Elena il suo amore; lei lo accetterà e ricambierà se Arrigo vendicherà suo fratello.
Atto III Monforte, nel suo studio, viene a sapere, dalla lettera di una donna che aveva sedotto, che Arrigo è suo figlio. Lo chiama e glielo rivela: il giovane è sconvolto, perché sente che perderà Elena. La sera ha luogo un ballo mascherato. Giovanni da Procida comunica ad Arrigo che è pronto un piano per uccidere Guido di Monforte; il giovane lo difende. I cospiratori sono arrestati.
Atto IV Giovanni da Procida ed Elena sono stati portati alla fortezza. Arrigo li raggiunge e si discolpa: doveva ripagare un debito filiale, ma ora ritorna con loro alla lotta. Elena gli conferma il suo amore, Giovanni annuncia che stanno per arrivare le armi per l'insurrezione. Monforte, intanto, escogita un ricatto: o Arrigo lo riconoscerà pubblicamente come padre, o manderà all'esecuzione i prigionieri. Arrigo cede, tutti sono liberati, e il governatore annuncia un'amnistia per le nozze del figlio con Elena. Quest'ultima non sa se accettare, ma Giovanni da Procida lo spinge a farlo: servirà per prendere tempo.
Atto V Nei giardini del palazzo si svolge la festa per il matrimonio. Elena sta cantando, quando Giovanni da Procida le annuncia che al suono delle campane verrà sferrato l'attacco. La donna si ritrae, impaurita. Arrigo è disperato. Guido di Monforte non capisce cosa stia accadendo, vede solo che il matrimonio è in pericolo. Per accelerare il cerimoniale, fa suonare le campane.
E l'opera finisce con l'inizio dell'invasione del giardino da parte degli insorti.
Prologo A Genova nel XIV secolo. L'ex Corsaro Simon Boccanegra, un plebeo, è eletto doge per le manovre di Pietro e Paolo. Sposa Maria, sposa del patrizio Fiesco, e ha una figlia. Ma la bimba scompare, mentre Maria muore.
Atto I Sono passati venticinque anni. Il Fiesco ha allevato una trovatella. Nessuno lo sa, ma si tratta della figlia di Simon Boccanegra. Ora si chiama Amelia Grimaldi. La giovane è amata da Gabriele Adorno, di famiglia patrizia. Boccanegra vorrebbe maritarla al suo fido Paolo e Amelia, per sfuggire alla minaccia, chiede a Gabriele di sposarla subito. Vedendo un ritratto di Maria, che Amelia ha conservato, Simon Boccanegra, il doge capisce chi sia la fanciulla e annulla le nozze con Paolo.
Nel frattempo l'Adorno viene arrestato, sotto accusa di avere ucciso un pretendente di Amelia che cercava di rapirla. La ragazza incolpa Paolo del tentato rapimento. Una maledizione cadrà sul vero colpevole.
Atto II In carcere Gabriele è convinto da Paolo dell'esistenza di un legame impuro tra Boccanegra e Amelia. Uscito dalla prigione, egli cerca di uccidere il doge, il quale però riesce a spiegargli la verità. Paolo intanto, ha segretamente propinato a Simon Boccanegra, mescolandolo al vino, un veleno a effetto lento.
Atto III Contro il doge si scatena una rivolta dei guelfi genovesi, ma Gabriele riesce a pacificare gli animi. Ormai Simon Boccanegra sta morendo. Il perfido Paolo viene condotto al patibolo e il doge, prima di spirare , benedice le nozze di Amelia con Gabriele.
Il giovane sarà eletto doge, con grande gioia dei genovesi che apprezzano le sue doti di giustizia e di moderazione.
Atto I Riccardo, conte di Warwick, governatore inglese del Massachusetts, apre le udienze. Fra i presenti vi sono i nemici di Samuel e Tom che, insieme con i loro seguaci, meditano di ucciderlo. Il paggio Oscar porta a Riccardo la lista degli invitati a un ballo; questi, scorto tra gli altri il nome di Amelia di cui è segretamente innamorato, trasalisce. Entra il creolo Renato, segretario e confidente di Riccardo, nonché il marito di Amelia, che lo mette in guardia da una congiura che si sta tramando nei suoi confronti, ma egli si mostra insensibile all`avvertimento. Ad un giudice che gli sottopone l`atto di condanna di un`indovina negra, Ulrica si mostra magnanimo e, convocati i presenti, dà appuntamento nell`abituro dell`indovina. Qui la maga, che sta invocando " re degli abissi", viene interpellata dal marinaio Silvano a cui predice un futuro fortunato. Per l`esultanza di tutti, la profezia si avvera, poiché Riccardo aveva precedentemente messo nella tasca del marinaio denaro e un foglio di nomina ad ufficiale. Quindi si fa avanti un servo di Amelia a chiedere un colloquio privato per la sua padrona. Fatti allontanare tutti, Ulrica consiglia ad Amelia, che le chiede come liberarsi da una passione peccaminosa, di recarsi nel sinistro campo delle esecuzioni, ove potrà trovare l`erba che dà l`oblio; Riccardo, nascosto per udire il colloquio, gioisce al sapere che Amelia è innamorata di lui. Quindi travestito da pescatore, si presenta alla maga che riconosce nella sua la mano di un nobile condottiero, ma rifiuta di proclamare il vaticinio. Infine per l`insistenza di Riccardo e dei presenti, predice al conte la morte per mano di un amico, colui che per primo gli stringerà la mano. Tra lo stupore generale, Riccardo minimizza l`accaduto, mentre il popolo lo acclama.
Atto II Amelia si reca alla ricerca dell`erba magica ed è raggiunta da Riccardo che le dichiara il suo amore; Amelia è scossa: anch`ella lo ama, ma non vuole tradire il marito. Questi preoccupato per l`incolumità di Riccardo, raggiunge i due ed intima a Riccardo di fuggire da quel luogo solitario. Prima di andare, il conte gli affida la donna (che copertasi con un velo, non è stata riconosciuta dal marito) dietro giuramento che egli non avrebbe tentato di scoprire chi fosse. Irrompono i congiurati stupiti al trovare Renato, che invano tenta di difendere la donna dalla loro curiosità di sapere chi sia. Nella concitazione della scena, ad Amelia cade il velo, fatto che suscita la rabbia e la desolazione del marito e la terribile ironia di Samuel, Tom e dei congiurati tutti. Sconvolto Renato dà appuntamento all`indomani a Samuel e Tom.
Atto III Renato è fermo nel proposito di vendicare con il sangue la presunta infedeltà della moglie. La donna gli chiede di rivedere per l`ultima volta il figlio. Quindi, mosso da pietà, Renato decide di trarre soddisfazione con la morte dell`amico risparmiando la moglie. I sopraggiunti Samuel e Tom restano increduli quando vengono messi a conoscenza degli intendimenti di Renato e questi offre la vita di suo figlio come garanzia di sincerità. I tre deliberano che sia la sorte ad indicare chi di loro sarà l`esecutore dell`omicidio di Riccardo ed obbligano Amelia ad estrarre dall`urna il nome del prescelto: Renato. Giunge Oscar a portare gli inviti per il ballo in maschera. I tre convengono di sfruttare l`occasione per lo scopo prefissato, mentre Amelia pensa a come salvare il conte. Riccardo ha deciso di rinunciare all`amore per Amelia e prescrivere per lei e Renato il rimpatrio in Inghilterra. Oscar gli porge una lettera anonima che lo invita ad astenersi per sicurezza dal ballo, ma il conte, che vuole rivedere la donna almeno una volta ancora, si mostra incurante dell`avvertimento. Nel corso della festa, Renato riesce con l`astuzia a farsi dire da Oscar dietro quale travestimento si sia nascosto Riccardo. Nel frattempo Amelia, che ha raggiunto Riccardo per scongiurarlo di fuggire, da lui riconosciuta, riceve l`estremo addio. Egli fa appena a tempo a concludere il dialogo con la donna, che viene raggiunto dal pugnale di Renato. Questi viene arrestato ma Riccardo, morente, ordina che sia liberato. Dopo avergli mostrato il decreto di espatrio per lui e per Amelia, gli rivela che mai Amelia lo aveva tradito, quindi perdona tutti i congiurati. I presenti benedicono la magnanimità del conte. Renato resta solo con il rimorso.
Atto I In Italia e in Spagna verso la metà del secolo XVIII. Don Alvaro cerca di rapire donna Leonora, figlia del marchese di Calatrava; ma è scoperto dal padrone di casa, che non lo vuole come genero perché non è di rango pari al suo. Il giovane prende su di sé l'intera colpa del tentato rapimento scagionando completamente la fanciulla. Getta a terra la pistola che teneva in mano, ma parte accidentalmente un colpo che uccide il marchese. Morendo, questi maledice la figlia.
Atto II Donna Leonora è alla ricerca di Alvaro. Sperando di incontrarlo, si traveste da studente ed entra in un'osteria. Ma non lo trova. La zingara Preziosilla si accorge dello stratagemma, però non dice nulla che possa tradire Leonora. Nell'osteria entra anche il fratello di quest'ultima, Carlo. Sta cercando i due innamorati e ha giurato di ucciderli entrambi. Angosciata, Leonora si rifugia al Convento della Madonna degli Angeli. Accolta da fra Melitone, è condotta dal padre guardiano. Solo lui saprà la sua vera identità. La giovane si ritira in un eremo non lontano dal convento; nessuno potrà avvicinarsi a quel luogo, e il padre guardiano raccomanda di non violare il segreto della donna.
Atto III Divampa in Italia la lotta tra gli imperiali e gli spagnoli. Don Alvaro, sotto falso nome, milita nelle file dell'esercito franco-spagnolo, nelle vicinanze di Velletri. E' convinto che donna Lonora sia morta. In battaglia, salva un compatriota: è Don Carlo. Senza riconoscerlo, questi stringe con lui un patto di fratellanza. Ferito, Don Alvaro gli consegna un plico e lo invita a distruggerlo. Don Carlo si accorge che esso contiene un ritratto di sua sorella, Leonora. Comprende dunque chi sia l'uomo che l'ha salvato. E, non appena il ferito si è ripreso, si sfida a duello mortale. Ma gli uomini hanno appena messo mano alle spade quando sopraggiunge una ronda. Devono fuggire per non essere arrestati. Sul campo sorge il nuovo giorno. Vivandiere e soldati cominciano la loro quotidiana attività.
Atto IV Convento degli Angeli. Nel chiostro, i poveri aspettano il loro turno per ottenere un pasto, distribuito da fra Melitone. Tra i religiosi c'è anche un nuovo confratello, padre Raffaele, nome sotto il quale si cela Don Alvaro. Don Carlo riesce a rintracciarlo, e lo sfida nuovamente a un confronto all'ultimo sangue. Prima dello scontro, Don Raffaele si spreta, per non commettere sacrilegio, il duello si risolve con la vittoria di Don Alvaro, che ferisce mortalmente il suo avversario. Questi chiede un confessore, e Don Alvaro si avvicina, per cercarlo, all'ingresso dell'eremo. E' quello in cui vive Leonora. I due si riconoscono; l'uomo la mette al corrente degli ultimi tragici fatti. Donna Leonora accorre presso il fratello che, nell'ultimo anelito di vita, compie il suo terribile giuramento trafiggendola con la spada. Alvaro la sorregge, mentre il padre guardiano le impartisce l'estrema benedizione e la conforta negli ultimi momenti.
Atto I In Francia e in Spagna nel 1568. L'infante di Spagna, Don Carlo, incontra Elisabetta di Valois a Fontainebleau, e subito se ne innamora. La giovane corrisponde al sentimento, ma la notizia che il re di Francia ha concesso la mano di Elisabetta al padre di Carlo, il re di Spagna Filippo II, stronca l'amore dei due giovani.
Atto II Nel chiostro del convento di San Giusto, i frati pregano sulla tomba di Carlo V. Qui Don Carlo confida il suo dolore all'amico Rodrigo che lo invita a lasciare la Spagna per le Fiandre dove si attende da lui un gesto di pacificazione. Carlo affida a Rodrigo un ultimo messaggio per Elisabetta, ormai sposa del re di Spagna: vuol vederla ancora una volta prima di lasciare il paese. Nel corso dell'incontro egli cerca di riconquistarla, ma la giovane, per quanto turbata, è fedele al suo giuramento. Non appena Carlo è scomparso, giunge il re Filippo. Trovando la regina sola, senza la consueta dama di compagnia, ne fa colpa alla contessa d'Aremberg, rispedendola in Francia. Poi, solo con Rodrigo, manifesta con un rapido accenno la sua gelosia per un possibile amore tra Elisabetta e il figlio.
Atto III Nei giardini della regina a Madrid, durante una festa, Don Carlo ha un convegno con una dama, che gli si presenta velata. Egli crede si tratti di Elisabetta e le conferma il suo amore; ma è invece, la principessa di Eboli, innamorata di lui, la quale, compresi i veri sentimenti dell'infante, decide di vendicarsi.
Rodrigo cerca invano di calmarla. Sulla piazza della Madonna d'Atocha, viene condotto al rogo un gruppo di eretici.
Alcuni deputati fiamminghi, guidati da Don Carlo, irrompono nel corteo reale per chiedere al re la fine delle persecuzioni in Fiandra. Il re li definisce ribelli, Don Carlo gli si avventa contro spada alla mano, ma Rodrigo lo ferma. Per questo atto, Filippo II nomina Rodrigo duca.
Atto IV Nel suo studio, Filippo medita sulle difficoltà e sulla vita di monarca, quando sopraggiunge il Grande Inquisitore; egli chiede di condannare come eretici Carlo e Rodrigo, del quale ultimo teme un'aperta ribellione. Ed ecco giungere in ansia Elisabetta; ella denuncia la scomparsa di un suo scrigno. Il Cofanetto è sul tavolo di Filippo, sottratto dalla principessa di Eboli alla sua proprietaria, per vendicarsi della regina. In esso è contenuto un ritratto dell'infante, e ora il re è sicuro del tradimento. Invano la regina nega l'adulterio. Accorre, pentita, la principessa di Eboli; confessa le sue colpe e decide di ritirarsi in convento. Intanto nella prigione dove Don Carlo è detenuto, Rodrigo gli annuncia che non sarà condannato: per salvarlo si è autoaccusato, usando il documento che l'infante gli aveva da tempo affidato. Carlo non crede all'amico, ma un improvviso colpo d'archibugio sparato da un sicario colpisce alle spalle Rodrigo e lo uccide. Mentre il re va a liberare il figlio, il popolo inneggia a Don Carlo.
Atto V Elisabetta è nel chiostro del convento di San Giusto. Prega sulla tomba di Carlo V perché protegga Don Carlo. E questi arriva, per darle un estremo addio: si recherà in Fiandra per affermarvi gli ideali di libertà. Ma irrompono Filippo II e il Grande Inquisitore che credono i due amanti colpevoli.
Carlo sta per essere arrestato, quando la tomba di Carlo V si spalanca e l'anima del Grande Imperatore si impossessa del discendente, e lo salva, trascinandolo con sé.
La vicenda si svolge nell`antico Egitto.
Atto I. Scena I Gli etiopi stanno per attaccare la valle del Nilo e Tebe; Ramfis, gran sacerdote, annuncia al giovane Radames che gli dei hanno già indicato il guerriero che guiderà gli eserciti egiziani contro gli invasori. Radames spera di essere il prescelto e di coprirsi di gloria per amore di Aida, schiava etiope. Sopraggiunge la figlia del faraone, Amneris, seguita da costei, che Amneris, innamorata di Radames sospetta essere a sua volta amata dal giovane; riesce però a nascondere la sua gelosia, fingendo addirittura simpatia per la schiava. Il re seguito dalla corte, viene ad annunciare che Radames è stato designato quale comandante dell`esercito: Aida è combattuta tra l`amore che porta a Radames e il sentimento che la lega al padre e al suo popolo.
Atto I. Scena II Nel tempio di Vulcano si svolgono le cerimonie di propiziazione e preghiera, e Radames riceve da Ramfis la spada consacrata.
Atto II. Scena I Amneris per capire i sentimenti di Aida, le dà il falso annuncio della morte di Radames; l`etiope non sa trattenere un grido di dolore e Amneris, ormai certa di averla rivale, le svela l`inganno giurando vendetta.
Atto II. Scena II Radames ha sconfitto gli etiopi e l`esercito egiziano sfila trionfalmente davanti al re. Radames, incoronato da Amneris, intercede a favore dei prigionieri, tra cui si trova Amonasro, padre di Aida. Il re accoglie la richiesta, ma poi, per le proteste dei sacerdoti, decide che Aida e suo padre vengano tenuti in ostaggio.
Atto III Radames non può rifiutare le nozze con la figlia del faraone e Amneris, alla vigilia della cerimonia, si reca a pregare al tempio di Iside. Nel frattempo Amonasro, avendo scoperto l`amore reciproco tra la figlia e Radames, le impone di farsi rivelare dal giovane la strada che percorreranno gli egiziani in modo da consentire agli etiopi in rivolta di piombare sul nemico: poi, non visto, spia un colloquio dei due innamorati, nel corso del quale Radames svela ad Aida che l`esercito Egiziano attaccherà gli etiopi al passo di Napata ancora incustodito. Amonasro, esultante, esce allora dal nascondiglio: Radames, sbigottito, si rende conto di avere tradito senza volerlo il proprio paese. Sopraggiunge Amneris con Ramfis: Amonasro fa per aggredirla ma Radames la protegge e si consegna al gran sacerdote per espiare il suo tradimento, sia pure involontario.
Atto IV. Scena I Amneris, sempre innamorata di Radames, si reca dal giovane, rinchiuso nel carcere, e lo esorta a rinunciare ad Aida, in cambio lei lo salverà. Ma Radames, incapace di vivere senza l`amata, intende invece espiare la propria colpa: condotto davanti al tribunale dai sacerdoti viene condannato ad essere sepolto vivo.
Atto IV. Scena II La scena è doppia: sopra c`è l`interno del tempio di Vulcano, sotto la cripta che sarà l`interno della tomba di Radames. Il giovane è stato condotto al suo sepolcro, sulla cui apertura viene calata una grossa pietra; ma ecco apparire Aida che lo ha preceduto nel sotterraneo per morire al suo fianco. Serenamente affrontano insieme la crudele morte, mentre Amneris, nel tempio, leva il suo lamento.
1. Requiem e Kyrie - a quattro voci soliste e coro
2. Dies irae - a quattro voci soliste e coro:
Dies irae - coro
Tuba mirum - coro
Mors stupebit - solo per basso
Liber scriptus - solo per mezzosoprano
Quid sum miser - a tre voci, soprano, m.soprano, tenore
Rex tremendae - a quattro voci soliste e coro
Recordare - a due voci, soprano, mezzosoprano
Ingemisco - solo per tenore
Confutatis - solo per basso
Lacrymosa - a quattro voci soliste e coro
3. Offertorio - a quattro voci soliste
4. Sanctus - fuga a due cori
5. Agnus Dei - a due voci,(soprano, mezzosoprano) e coro
6. Lux aeterna - a tre voci (mezzosoprano, tenore, basso)
7. Libera me, Domine - solo per soprano, cori, fuga finale
Atto I La vicenda si svolge a Cipro, dominio veneziano del XVI secolo. Esterno del castello, residenza di Otello, governatore dell`isola, di fronte a un porto. E`sera. Una furiosa tempesta flagella il mare, una folla di cittadini veneziani e di soldati, assiepata sugli spalti, assiste impotente agli sforzi della nave del moro Otello per guadagnare il porto. Solo l`alfiere Jago non partecipa all`apprensione di tutti per la salvezza del suo signore: egli lo odia perché ha promosso capitano, al suo posto, Cassio, e medita la vendetta. Otello festeggiatissimo giunge finalmente al sicuro e annuncia trionfalmente che la flotta turca è stata sgominata. Quando il Moro entra nel castello, si accendono i fuochi di gioia e si beve alla vittoria. Nel tripudio generale, Jago comincia a tessere la trama che dovrà portare alla perdizione il comandante: insinua perfidamente e Roderigo, il quale gli ha confidato di amare la moglie di Otello, Desdemona, che anche il capitano Cassio nutre gli stessi sentimenti per la donna. Poi riesce a far ubriacare il capitano e aizza i due uomini l`uno contro l`altro, ma il duello che nasce è interrotto da Montano. Il paciere è però ferito da Cassio. Jago lancia l`allarme, ingigantendo la portata dell`episodio fino a farne nascere un tumulto. Richiamato dalle grida, Otello, falsamente informato da Jago, punisce Cassio e lo degrada. E`la prima vittoria di Jago, che ne esulta.
Atto II Una sala terrena nel castello; una porta nel centro che dà sul giardino. Continua la trama di Jago; egli suggerisce a Cassio di chiedere a Desdemona di intercedere per lui presso Otello. In un monologo, l`alfiere enuncia la sua cinica visione della vita, riesce poi a gettare il seme della gelosia nell`anima del Moro, lasciandogli nascere il sospetto che fra Cassio e Desdemona ci sia un amore segreto. E quando la donna, apparsa dal giardino, cerca di intercedere per il capitano degradato, la gelosia di Otello ne è acuita ed egli respinge aspramente la richiesta. Ancora Jago insinua di avere colto alcune frasi compromettenti sfuggite a Cassio nel sonno, e, riuscito ad ottenere con l`aiuto della moglie Emilia un fazzoletto che la giovane aveva avuto in regalo dal Moro, afferma di averlo visto nelle mani di Cassio. Per Otello questa è la prova sicura e giura una terribile vendetta.
Atto III Grande sala nel castello. La vedetta ha segnalato una galea che porta gli ambasciatori di Venezia. Desdemona, ignara, chiede ancora grazia per Cassio, e per tutta risposta Otello le impone di mostrargli il fazzoletto che le aveva donato come talismano. Poiché la donna non può consegnarlo, il Moro, in un accesso di furia, l`accusa di essere una cortigiana e la scaccia. Solo, rimpiange la felicità perduta. Ma l`arrivo di Jago lo riscuote; l`alfiere vuole completare la sua ragnatela e gli prepara alcuni inganni; fa in modo che Otello nascosto, ascolti una conversazione con Cassio a proposito di una cortigiana, dandogli a credere che si parli di Desdemona. Otello giura di uccidere la moglie infedele. Ma intanto gli ambasciatori veneti hanno preso terra e annunciano che Otello è rimasto a Venezia e che sarà sostituito da Cassio. Alla presenza dei dignitari, Otello, ormai fuori di sé: ""noi salperemo domani"", dice alla moglie e afferratala per un braccio la getta a terra. Jago dà allora il via all`ultima parte del suo diabolico piano, spronando Roderigo a uccidere Cassio, mentre Otello maledice Desdemona e tutti escono inorriditi. Delirante, il Moro sviene. Jago con gesto di trionfo indica il corpo inerte.
Atto IV La camera di Desdemona. La donna si accinge a coricarsi, aiutata da Emilia. E' ferita dall`attegiamento di Otello che le riesce inspiegabile. Ha appena terminato di pregare, quando entra Otello: l`accusa apertamente di averlo tradito e inutilmente Desdemona proclama la sua innocenza. Il Moro l`ha ormai condannata e la strangola. Emilia rientrando annuncia che Roderigo è rimasto ucciso nel tentativo di uccidere Cassio. Vedendo Desdemona morta, accusa Otello e gli grida di aver ucciso un`innocente. A Jago sopraggiunto, la donna rinfaccia il suo intrigo e a questi non resta altro scampo che la fuga. Otello, sconvolto e improvvisamente illuminato dell`inganno nel quale è caduto, dopo un ultimo bacio alla sposa si trafigge con un pugnale.
Atto I A Windsor, nel XV secolo. All'osteria della Giarrettiera. Sir Jhon Falstaff è accusato da Cajus di essere un ladro. Per tutta risposta il grasso Falstaff lo fa buttar fuori dall'osteria in cui si trovano. Poi si rivolge a due suoi domestici, Bardolfo e Pistola, e illustra loro un suo piano per derubare due gentiluomini, delle borse e delle mogli. Si tratta di Page e di Ford: i servi dovranno andare dalle due mogli dei gentiluomini a consegnare certe missive, Bardolfo e Pistola non apprezzano il piano del loro signore. Si dicono uomini d'onore e non accettano di collaborare. Faltaff, allora li licenzia, e dà l'incarico a un paggio. Le due donne ricevono le lettere e si accordano con altre due, la giovane Nannetta Ford e Quickly per giocare una burla al vecchio e corpulento corteggiatore. Bardolfo e Pistola hanno intanto rivelato il piano di Falstaff a Ford. Il giovane Fenton, che segretamente ama Nannetta, si offre di punirlo.
Atto II Com'è solito Sir Jhon è all'osteria della Giarrettiera. Qui lo raggiunge Quickly per comunicargli che Alice Ford lo potrà ricevere fra le due e le tre del pomeriggio.
Mentre Quickly esce, sopraggiunge il ""signor Fontana"". In realtà è Ford travestito, che porta con sé delle monete d'oro e le offre a Falstaff se lo aiuterà a conquistare il cuore di Alice Ford. Naturalmente Falstaff accetta, anzi si dà delle arie: ha già un appuntamento quello stesso giorno, con la signora. Rimasto solo per un momento, Ford non può che stupirsi e rammaricarsi. Ma Falstaff ritorna, e i due escono insieme. Nel frattempo Quickly, informa le altre donne del risultato della sua missione. Nennetta coglie l'occasione per sfogarsi; il padre l'ha promessa in moglie al dottor Cajus, mentre lei vuole sposare Fenton. Alice resta sola. Due servi portano una cesta per la biancheria. Poi giunge Falstaff. La donna ne accetta la corte, ma lo tiene a debita distanza. Irrompe Quickly, per annunciare l'arrivo di Meg Page, che, a sua volta, annuncia l'arrivo di Ford. Falstaff si nasconde dietro un paravento. Entrano Ford, Fenton, Cajus, Bardolfo e Pistola: cercano Falstaff nella cesta, poi in tutta la casa, ma non lo scoprono. Non appena escono Falstaff, si infila nella cesta; dietro il paravento finiscono i due giovani innamorati. Ma Ford torna, sente il suono di un bacio proveniente da dietro il paravento e scopre Nannetta e Fenton. I due fuggono, Bardolfo dice di aver intravisto Falstaff scendere precipitosamente le scale e ne nasce un inseguimento generale. Ritorna intanto Nannetta con alcuni servi che scaraventano nel Tamigi la cesta in cui è sempre Falstaff.
Atto III Scena I. Un piazzale davanti all'osteria della Giarrettiera. Falstaff è arrabbiatissimo per il bagno forzato. Quickly lo rassicura: è stata tutta colpa dei servi: Alice Ford brama di incontrarlo. Si reca di notte nel parco reale e per non essere riconosciuto che da lei, si traveste da cacciatore nero. Quando Falstaff e Quickly entrano nell'osteria, le donne si ritrovano sulla piazza per mettere a punto la burla. Cajus e Fenton partecipano alla riunione: anche Ford, ormai convinto della fedeltà di Alice, crede opportuno partecipare alla beffa. Anzi pieno di buonumore, decide che quella stessa sera si concludano le nozze di nannetta con Cajus, con la complicità dei travestimenti notturni. Ma l'impagabile Quickly ha ascoltato e corre ad avvertire la ragazza per sventare il piano dei due uomini.
Scena II. Nel parco di Windsor. Cala la notte, Falstaff vestito da cacciatore nero ascolta il canto delle fate. Ecco Alice, che finge di accettare le sue dichiarazioni amorose. Improvvisamente compare Meg ad annunciare una tragedia: una schiera di falsi spiritelli si lancia sul grassone, tormentandolo, punzecchiandolo, bastonandolo. Quando è conciato per bene, si fa avanti Ford, che lo perdona. I presenti assisteranno ora a due cerimonie nuziali. Ford benedice le coppie , ma all'ultimo momento ci si accorge che Nannetta sposa Fenton e che la "sposa" del dottor Cajus è Bardolfo camuffato da regina delle fate. Ma che ci si può fare, ormai? "Tutto nel mondo è burla" conclude la vicenda.